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Le “Cose che non vanno”

9 Mag

Sento tante volte le persone intorno a me dire frasi di questo tipo : “Capitano tutte a me!” oppure ancora “Speriamo che col tempo le cose si aggiustino…” .

Vedo ancora più spesso queste persone invecchiare sempre di più, assumere tratti fisionomici che vanno di pari passo con le loro tristezze, con le loro paure…

E’ per questo motivo che ho deciso di dare una sferzata al mio Blog.

Tanti siamo convinti delle nostre idee, dei nostri percorsi, siamo convinti addirittura delle nostre credenze ed idee che il più delle volte ci portano lontani dalla meta, o magari, ci fanno proprio tornare indietro…e non ci fanno più muovere dalla partenza…anche per anni interi!!

Stiamo ad aspettare che le cose migliorino senza accorgerci che siamo Noi la causa di tutto…le nostre paure, i nostri limiti che ci imponiamo da soli…i nostri pensieri negativi o, come mi ha spiegato un amico una volta, negativi, non è la parola giusta, la parola giusta è “Pesanti”; pensieri pesanti proprio sulla nostra schiena.

Un po’ come la nuvoletta di Fantozzi…ricordate??

Quindi; cerchiamo insieme di arrivare fuori da quella nuvoletta,                        non sarà difficile, anzi!!                                                                                                                                              

Io l’ho già fatto da una manciata d’anni….e sono rinato!

Passate da qui ogni tanto…e fino al  prossimo post ricordate che quello che stiamo aspettando e cercando…è già qui dentro di Noi…il bello è che non lo sappiamo ancora!

 Un caro Abbraccio….Ross.

1 Mag

L’altra sera la città era stupenda, sembrava dormire, il sole quasi giallo prima di sparire del tutto diffondeva in mezzo alla foschia dei primi giorni caldi di fine aprile una luce senza ombre, quasi surreale.

La tangenziale sbuffava tranquilla, i cittadini erano già tutti fermi a casa o in qualche bar e proprio lungo la via del ritorno ho incontrato un uomo sdraiato sulla mezzeria di un parcheggio, deserto ormai, era tranquillo anche lui e dava modo alla scena di assumere una consistenza definita di assopimento.

Non so perché se ne stava lì, fatto sta che sono strane quelle giornate in cui fermi tutto; il ritmo della vita, dei pensieri, il ritmo di certi cuori che finiscono per divorarci completamente o il ritmo di certi occhi come quelli che incontri quando scatta il verde pedonale nelle strade di Parigi, tu vai da una parte insieme a tanti e tanti altri vanno dalla parte opposta eppure, qualche sguardo lo incontri, fugace, come il maestrale che porta le nuvole a costa appena prima che piova; poi te li dimentichi subito, certi sguardi, ma ti hanno lasciato qualcosa.

Sono strane quelle giornate in cui fermi tutto perché per un attimo credi di avere tempo per te, per quello che vuoi veramente fare.

E poi ci sono quegli amici che rientrano nella tua vita così, proprio come una di queste giornate “lunghe” e ti danno modo di ripensare a quanta cazzo di acqua riesca a passare sotto quei fottuti ponti e certa gente, che una volta era parte di te, sembra che nemmeno se ne sia accorta.

Quanto odio quelle situazioni in cui vecchi conoscenti ti incrociano e ti dicono “poi ti chiamo!! Ci beviamo qualcosa”.

Ma sì…beviamoci qualcosa, almeno fino alla prossima giornata in cui avrò la presunzione di tenermi del tempo per me, tutto mio…

A volte invidio questo tizio nella foto; maglioncino sbiadito, gambe incrociate, mani dietro la testa, nessuno che ha bisogno di lui, nessuno che ha da dirgli nulla…lo invidio un po’…perché non sta neanche a pensare a che cosa posso pensare io nel trovarlo lì, sdraiato in mezzo al parcheggio mentre accendo la macchina e se ne frega di quanta acqua possa passare sotto quei fottuti i ponti mentre te ne stai tranquillo così, a tenere del tempo per te.

Che bella serata, non si sente niente…ManOnTheRoad

L’Uomo delle nebbie

24 Mar

E lo so che poi non ci si accontenta mai,della vita, delle strade, dei sorrisi che fai e che vedi.
E farò una valigia e ci metterò dentro alcune canzoni, un ricordo e un profumo che quando voglio mi riporterà indietro, mi riportera chissa dove
E lancerò un sasso in mare per vedere se i pesci se la prendono a male o quel pescatore laggiù, col cappello calcato sugli occhi e quella mezza poseidonia tra i denti che non sembra mai contento di niente.
Mi guarda male mentre passo, io sono uno straniero e lui non conosce stranieri, conosce solo amici suoi.
E mi scatterai una foto proprio mentre  passa dietro di me quella barca dalla bocca del porto, con quel bambino che mi guarda dall’alto del pescaggio e non mi invidia; lo so perchè l’invidia e a senso unico; roba che se tu invidi lui lui non puo invidiare te, almeno spesso è cosi, deve essere così, anche se ora sorrido, a malapena, in quella foto.
E svuoterò una valigia e metterò tutto nei cassetti, in ordine per non ricordare, in ordine per fare una valigia in fretta e quando voglio, in ordine per andare lontano, per andare chissa dove.
Amico mio siamo strani non ti accorgi che siamo gli unici a sorridere?                                                                                                                                 Amico mio non ti accorgi che siamo i soli a piangere?

E credo sia vero che alcuni posti d’oltremare sembrano lontani solamente perchè non sei mai partito
E non saprei contare ormai i tramonti che ho visto da qassù, non male per un uomo delle nebbie; mi sa però che anche stavolta il sole è più veloce di me, che non l’ho gustato del tutto fino in fondo, che non voglio mai che sparisca.
E per essere incazzati c’è sempre tempo, sono quelle risate che fanno male alla schiena quelle per cui il tempo non basta mai; un pó come l’invidia, se tu invidi lui lui non invidia te, almeno spesso è così, deve essere così, deve essere per forza così accidenti.

Una sera da bere…

13 Dic

IMG_0044Vi ricordate una volta c’erano quei siti dove potevi dare il nome ad una stella, il nome che volevi e poi, regalarlo alla persona che desideravi. Dare ad una stella il nome di chi riceve il regalo…quella stella è “tal dei tali”… che meraviglia, quanto mistico romanticismo si scontra con le fredde sere d’inverno e con questo cielo così piatto e bianco e fresco che lo potresti bere, tutto d’un fiato; poi nessuno ci ha più fatto caso a quei siti e nemmeno a questo cielo Emiliano.

Sto seduto in questo caffè da un po’e davanti a me, il capolinea di Viale Gramsci; capolinea che a quest’ora, come l’ansa di un fiume, si trascina dietro un po’ di tutto insieme all’ultimo autobus. C’è la ragazza vestita bene con le buste di H&M, il tipo di colore che suona il basso col basso sulle spalle e un cappellino calcato a lato della fronte e le cuffie a sandwich, la donna che rientra con bambino al seguito che piange e scalpita…chissà quale desiderio non ha visto esaudirsi oggi.

Poi c’è quel tizio strano che cammina zoppicando ma è già scomparso tra il luccichio della strada e la nebbia umidissima di stasera. Due Rom sono scesi e si guardano intorno, uno dei due guarda anche un  pò la ragazza che si allontana con la busta di H&M.

Il capolinea è al buio da un pò, un lampione si è fulminato tempo fa mentre sistemavano le linee del gas sotto la strada, lo ricordo bene perché quel giorno era Luglio e il catrame faceva un caldo e quella stessa sera ci siamo accorti di quanto buio faccia un solo lampione su un centinaio che si spegne di colpo e poi, non ci abbiamo più fatto caso.

Il barista mi guarda con aria strana da qualche giorno, forse perché anche io sono uno dei tipi trascinati al capolinea 4 da tante sconfitte eppure non mi sento poi così sconfitto, oggi.

Si vede anche il piano di ginecologia del policlinico da qui, ci sono alcune finestre illuminate nella nebbia, passa qualcuno di là dai vetri, chissà in quanti stanno venendo al mondo in questa sera; fredda, malvagia e soffice nello stesso tempo.

Qualcuno esce dal bar e mastica ubriaco i pezzi di una canzone che non conosco insieme al mezzo toscano che gli era rimasto in bocca e nessuno ci fa più caso a lui, sono tutti abituati a vederlo così e anche io; i portici cominciano a colorarsi in centro a quest’ora, una volta li notavo spesso, il calore che fanno le luci gialle e gli archi dei portici della mia città e poi, non ci ho più fatto caso.

Se fosse estate, stasera starei sotto il cielo stellato, magari potrei capire quale stella ti appartiene o cercarne una che si vede e non si vede, una da poter guardare tutto l’anno o una stella estiva e fissarla per vedere se ti somiglia, almeno un po’; la guarderò qualche volta e poi non ci farò più caso…

 

Lettera a Babbo Natale…

12 Dic

Caro Babbo Natale,

è strano come cambino i desideri nel corso della vita, io una volta, da bambino, chiedevo l’elicottero dei pompieri, quel fantoccino coi muscoli pompatissimi e la divisa da militare oppure chiedevo i soldi per poter fare un giretto sugli aereoplani che dall’aereoporto di Marzaglia ti facevano per mezz’oretta vedere la città dall’alto, un punto di vista che tutt’ora mi affascina. Quando ero bambino, mi sembrava di non avere niente e i desideri si sprecavano. Non sono mai stato uno di quei bambini che chiedono a Babbo Natale che i suoi genitori tornino ad amarsi o che tornino insieme oppure di quelli “buonissimi” che chiedono a babbo natale la pace nel mondo o che i bambini guariscano, io sono sempre stato egoista, i miei genitori mi han sempre dato tutto quello che volevo, mi hanno viziato forse troppo, almeno fino a quando non sono cresciuto, fino a quando non ho cominciato a desiderare anche io desideri più “veri”, desideri che i miei genitori non potevano comperarmi e che ho presto imparato che nemmeno io, con tutti i soldi del mondo, potevo regalarmeli. Sarebbe bello poter barattare ora qualche mio desiderio con l’elicottero dei pompieri, col fantoccino muscoloso, barattarne uno o tutti quanti, per avere ora quello che vorrei. Ora ho quasi tutto quello che chiunque possa volere, la vita mi ha portato abbastanza lontano da quei liberissimi pensieri di bambino, ho tutto quello che molti desiderano. Mi sono circondato di cose belle, belle da guardare, mi sono concesso dei lussi che probabilmente sono talmente futili quanto indispensabili, mi sono concesso di vivere, di amare, di sorridere e di piangere, mi sono concesso di starmene sdraiato a dormire dopo aver fatto l’amore x tutta la notte, mi sono concesso di vincere, qualche volta, sulle risate della sorte. Eppure ho sempre l’impressione che mi manchi qualcosa, c’è sempre dentro di me un desiderio. Come mai Babbo Natale abbiamo sempre bisogno di qualcosa, come mai non sei in grado di colmare per una volta i miei desideri. Vorrei un pianoforte, di quelli d’epoca color noce, pesante, che sappia di cera d’api d’avorio e di legno, che abbia il tappetino vellutato rosso amaranto che copra la tastiera ingiallita dal tempo, dal tabacco; vorrei potermi sedere davanti a quel piano e sentire la pelle d’oca che dalla schiena, lentamente, sale fino alla testa, alle mani alle braccia, vorrei poter vibrare anche io assieme ai suoni, nell’aria, leggerissimo quanto un diesis appena sfiorato o arrabbiato in vorticose virate in uno splendido notturno di Chopin, quando le dita partono da sole a scivolare sui tasti ed allora non sei più uno che suona un piano, sei il piano, senti quello che pensa, pensi quello che lui suona. Vorrei vivere per sempre giovane, per sempre così, a farmi docce bollenti dopo palestra, a fare vasche in piscina e quando sollevi la testa per respirare di lato, l’acqua ti accarezza il viso, ti scivola via assieme a tutti i pensieri; vorrei avere un paio di ali enormi, proprio qui, sulla mia schiena per poter prendere il volo quando e da dove voglio, per sollevarmi rapidamente e lasciarmi trasportare da qualche termica al di sopra delle città, delle montagne, dei laghi, del mare, al di sopra delle nuvole per avere sempre il sole in faccia e poter vedere sempre le stelle. Vorrei aver per sempre il cuore forte, un cuore che mi permetta di lanciarmi nel vuoto, un cuore che mi impedisca di dormire quando batte forte dopo gli incubi, un cuore che mi lasci innamorare e poi soffrire per riiniziare tutto da capo senza pensare alle botte che ha preso e senza aver paura di sanguinare ancora. Vorrei avere coraggio anche io, per poter dare per una volta quel che sento a qualcuno senza chiedermi che ne farà. Vorrei avere sempre le cose chiare in testa e sognare soltanto quello che voglio, capire le persone da uno sguardo, vorrei aver sempre la forza di viaggiare, il gusto di chiedermi ad un certo punto “ed ora? Dove diavolo sono?”e il gusto di riguardarmi indietro e vedere la strada fatta senza mai dire “ora è tardi”. Vorrei riuscire a sfruttare la vita, gli attimi che velocissimi scorrono intorno a me e utilizzarne ognuno di questi per fare scelte sempre diverse, sempre nuove, sempre pericolose. A volte vorrei starmene qui, rilassarmi, farmi accarezzare dalle mani calde di qualcuno che non ha gettato via quello che le ho dato; vorrei poter dormire, sentire il rumore del suo respiro che pianissimo mi culla nella notte, vorrei poter pensare per due, non esser più egoista e camminare strettissimi in quei piccoli vicoli di venezia verso sera, cercando una taverna, un ristorante con le luci soffuse e rapire i suoi occhi, per qualche istante appena. Vorrei….vorrei, ci sono tante di quelle cose che vorrei che mi sembra di essere tornato bambino, quando sembrava di non avere mai niente, quando i desideri si sprecavano. Quando ero bambino bastava la spalla di mia madre per farmi addormentare; quando volevo ridere bastava che mio padre mi sollevasse in aria e mi tenesse lì a farmi giocare con le sue mani enormi e con la sua solida schiena su cui montare. Sta arrivando un altro Natale e quel signore che si stringe sù nel cappotto mentre sbadato attraversa la strada con la sigaretta in bocca, mi fa venire voglia di uscire anche io; scattare un paio di foto, cercare qualche desiderio, soffermarmi in un bar a guardare mentre la vetrina si appanna all’ora di punta; fare un bell’albero di Natale; il Natale…ci siamo ancora tutti? per fortuna anche quest’anno ci siamo ancora tutti e te, Babbo Natale, vedi di portarmi un pò quello che ti pare…tanto ormai ho capito che non c’è nessun Babbo Natale…

Il mio primo ‘libro’…

25 Ott

Adoro scrivere è vero, quando ero piccolo riempivo quaderni di storielle futili contornate da disegni; così mi passavo le ore peggiori dei pomeriggi di agosto o luglio, quando in città c’ero soltanto io e il mio cortile era troppo caldo per andarci a giocare. Ricordo che era un rito quando finivo un quaderno andare in cartoleria a sceglierne un altro con cura; quanto mi piacciono quelli con le copertine rigide monocromo.

Crescendo ho continuato a scrivere, non più sui quaderni ma su macchina da scrivere, poi sul pc di famiglia, poi sul mio, poi sull’ iphone per scrivere anche se ero seduto al pub.

Poi sono arrivati i social network, twitter e allora l’idea che qualcuno legga i miei pensieri, qualcuno che non conosco, qualcuno che non ho mai visto come si veste o come si tocca i capelli, è diventato per me un sogno raggiungibile. Certo sono tanti anni che vorrei fare il “salto di qualità”, ossia pubblicare un libro; uno di quei libri veri, con la prefazione, una breve biografia dell’autore non scritta da me, quelle foto in bianco e nero, quei libri che sanno di carta e inchiostro, quelli che se li tieni aperti su una pagina ci resta la piega nella spalla di cartoncino sottile. Quelli che la gente si legge sotto l’ombrellone o seduti sul divano di  casa, il divano più comodo. Un vero bel libro. Trovarlo ammassato nei centri commerciali in mezzo ai “best seller” di oggi come ‘In cucina con Gordon’ o ‘In cucina con Benedetta Parodi’ o la ‘Dieta Dukan’ o ancora quei libri incredibili come ‘il Karate in 200 pagine’ … e tu sei lì che vai a fare la spesa e in mezzo a questi lo vedi, incredibile, la mia testa, i miei pensieri dentro un cestone nel supermercato! E controllare per qualche minuto se qualcuno lo sfoglia…vedere come si veste, come si tocca i capelli. Che bello deve essere!

Certo poi ho sentito un sacco di storie incredibili riguardo pubblicare un libro. Questi scrittori distrutti che aspettano per mesi i No delle case editrici. Solo qualcuno ce la fa. Ecco!

Per me non è giusto, perché mai il mio libro deve piacere ad una persona sola perché lo possano leggere tutti…guardando a probabilità ce ne sono meno di una su cento che questo possa accadere e invece da altri pseudo-editori devo pagare io l’edizione e dal momento che invio il manoscritto perdo anche tutti i miei diritti sui miei pensieri e sulle mie storie. Certo perché ci sono libri fatti di storie, che si accumulano con gli anni, con la vita, con i Km… .

E’ per questo che gironzolando in internet ho deciso di fare un passo in più, ho deciso di autoprodurmi da solo via Web, in e-book o PDF, come voglio. Ho deciso di farlo perché non voglio sottostare a questi editori, non voglio spendere migliaia di euro per perdere i miei diritti sulle mie storie! Chi mi conosce qui già da un po’ sa che a volte sono polemico ma questa, anche se può sembrare, non è una polemica è piuttosto una ‘presa di posizione’ e spero che tanti altri Autori e Amici grandissimi nello scrivere seguano la mia stessa strada. Ovviamente già altri si auto producono, non ho inventato niente, solamente anche io, a mia volta, seguo la strada.

Giorno Dopo Giorno….GDG…

23 Ott

Avrei tante cose da fare, tipo sistemare quegli scatoloni ammassati uno sull’altro come un gomitolo di prose di pensieri.

Avrei tante cose da riguardare, ma poi lo so, cadrei in qualche ricordo come i gattini che si vedono nelle TV a basso ascolto finiti dentro le grondaie, i tunnel sottoterra o sui tralicci dell’alta tensione.

A volte ti accorgi che ti conosci troppo bene e allora avresti tante cose da dirti.

Altre volte ti accorgi di essere soltanto uno dei tanti; come quei ragazzi appoggiati alle colonnine della fermata del bus, quelle fermate calde sotto al sole, col plexiglass appannato dagli eventi e da qualche writer a cui piace dire la sua, in qualche modo. Ti accorgi di essere uno così, uno che fa la sua strada, giorno dopo giorno, prima in bicicletta andando a scuola, poi in motorino alle superiori, macchina al lavoro e così via…il bus quando sarai vecchio e osserverai qualche ragazzino buttato sulle colonnine sotto le fermate del bus percosse dai fatti, anche lui è lì a fare la sua strada, giorno dopo giorno.

Ogni tanto poi ti imbatti in qualche personaggio interessante; interessante almeno fino al punto di chiederti se hai mai conosciuto un pezzo di merda come quello e mentre te lo stai domandando ti accorgi di essere anche tu complice a un gioco a cui non ti va più di giocare.

Fin da quando in bicicletta andavi a scuola, rispettando i semafori rossi e pedalando forte giù per le discese, per quante discese uno possa trovare in città, eri già complice di qualcosa che non andava; senza saperlo, senza chiederti come mai eri già assolutamente complice di un sistema che ti accorgi solo ora, a metà strada, di quanto sia sbagliato.

Bisognerebbe fare come quel tipo laggiù, con la macchina ferma in doppia fila e la cravatta luccicante a chiacchierare col gestore di quel bar di asiatici che puzza di vino bianco e che ha il pavimento appiccicoso; bisognerebbe fare come quelli che ti mandano quelle cartoline così senza senso, con scritto soltanto ‘Tanti saluti da….’ .

Bisognerebbe avere una via di uscita dai bar col pavimento appiccicoso, o rischi di restarci dentro.

Come quel tizio sulla porta, che barcollando con il Pile infeltrito e le scarpe antinfortunistiche, sta facendo l’equilibrista per aprire il pacchetto di sigarette senza rovesciare il frizzantino che sa di tappo che ha nel bicchiere da stamattina.

Mille suoni e tanto silenzio…

30 Set

Che suono hanno certi ricordi, il suono di certe voci e di certe giornate senza sole; il suono di una stanza che sa di chiuso, di una stanza piena di ricordi. Un suono per ogni momento, ci vorrebbe, come quel tizio vestito di scuro che ora, sotto la mia finestra, cerca di ripararsi dalla pioggia e dall’acqua che gli schizza fin vicino quando passa una macchina. Che suono hanno certe voci e certi volti appesantiti dagli eventi, il suono di quelle occhiaie che hai certe mattine quando hai bevuto una birra più e parlato con un amico in meno. Il suono delle sirene lungo la via, trafficatissima anche la sera. È difficile racchiudere una vita in qualche scatola in una stanza, poi ti accorgi che quelli sono soltanto oggetti, sono soltanto suoni, sono soltanto i miei lunghi attimi brevissimi, che si sono composti male uno sopra all’altro. Che suono hanno certe porte poco prima di aprirsi del tutto; un po’ come quel tizio vestito di scuro, che vedo dall’alto del mio appartamento giù, in strada, a schivare gli schizzi delle auto che passano in fretta; sempre laggiù, sotto la pioggia, a cercare di restare pulito, giorno dopo giorno. Che suoni hanno certi ricordi, un suono per ogni cosa, ci vorrebbe, questo ci vorrebbe…

Un vecchio paese

27 Ago

Quel vecchio cane ronfava come le mie orecchie non avevano mai sentito in nessun luogo e da nessuna persona, poi il vecchio cane era davvero piccolino; arrivava col garrese al ginocchio di un uomo, lungo poco di meno di un paio di avambracci e l’aria triste e vecchia.

Un suono del genere da un cagnetto così piccolo, certo non si smette mai di imparare.

Se ne stava verso sera, dando le spalle al maestrale, sotto una piccola vite di malvasia intrecciata come fosse il tetto di una verandina; sdraiato composto ai piedi dell’aia dell’ingresso di quella angusta cantina che dava sulla strada.

Era un bastardino bianco con qualche pezza color sabbia, pelo medio, sicuramente la madre o il padre avevano avuto qualcosa a che fare con qualche cane da caccia per metterlo al mondo.

Orecchie basse e piuttosto lunghe, stop sul muso non tanto pronunciato, sulle gambe aveva qualche segno di ferita; era uno di strada del resto.

Il suo padrone non era vero che gli assomigliava, come si sente spesso dire che il padrone assomiglia al cane. Lui non era troppo vecchio, almeno non troppo vecchio per bersi un buon bicchiere di Cannonau in qualche cantina fresca, a porte chiuse, lasciando fuori la calura del sole e delle pietre del piccolissimo paese affacciato al mare dell’ovest.

Non portava mai la maglietta addosso e ogni tanto, socchiudeva la porta della cantina, di fronte alla sua verandina, metteva fuori la faccia ispida e brizzolata e controllava il vecchio cane pezzato.

Al mattino presto chiacchierava con lui, lo caricava in macchina, faceva il giro della costa, si fermava, buttava un occhio alla vallata della Planargia che dà sul mare; aveva un occhio lungo, un occhio rassegnato; rientrava a casa e tornava a  chiacchierare  col cane.

La notte, con le mani sui fianchi e il piede su un sasso, vegliava il suo vecchio compagno salato dal maestrale.

Certe vite, a volte, mi ricordano la storia di quel tizio che ha passato la vita a vegliare la sua vigna e poco prima di morire disse

< Chissà che gusto ha un bicchiere di vino…>.

Al Planetario… 13Agosto2012

13 Ago

Non so quante dannate volte ho suonato quel campanello, sotto i miei piedi, passavano intanto lente tutte le stagioni. Ricordo che d’inverno, dentro al campanello, c’era come una strana condensa, forse la neve, il freddo; d’estate invece era sempre come se fosse appannato, forse il sole, il caldo.

Fatto sta che sapevo sempre benissimo dove suonare.

Ma secondo voi le stelle cadenti, cadono tutto l’anno e noi non ce ne accorgiamo o cadono soltanto in estate? Chissà quante me ne sono perso, magari in coda in tangenziale, con la radio che mi rende nervoso e il rumore sordo del tergicristallo sul vetro gelato; anche se sono stato spesso assonnato col naso all’insù, in estate, ad aspettare e ne ho viste certo. Purtroppo però non cadono mai tante stelle quanti sono i tuoi desideri.

Il baccano delle tv a tutto volume di chi è rimasto in città quest’anno mi fa sentire meno solo ed io, che in quell’attimo sono l’unico assonnato a guardare il cielo in mezzo alle finestre aperte illuminate dalle scene delle tv, credo che le stelle siano tutte per me.

Certo che per vedere le stelle cadenti ci vuole pazienza, proprio come quando pensi ad un grande desiderio, o aspetti un grande sogno.

Secondo me, le stelle cadenti cadono quando hai la pazienza di guardare, di aspettare; le stelle cadenti sono come il buon vino o quella boccata di sigaretta che sembra più buona delle altre. Il vento fresco porta subito lontano da me il fumo e quella boccata. Potessi, per una volta soltanto, tenermi qualcosa per me senza doverlo cedere, o vedere andare via.

Un po’ come una fotografia che blocca l’attimo perfetto. I fotografi; ricercano quella frazione di secondo tutta la vita per renderla eterna, immobile…forse è per questo che una macchina fotografica mi suscita il fascino veloce di un attimo che se ne va.

Stelle cadenti, fotografia, il momento in cui senti il sapore del vino dopo averlo mandato giù, quella sigaretta più buona delle altre, quel battito di palpebre impercettibile proprio mentre passa una stella, quelle risate che tolgono il fiato, gli occhi delle persone che incroci in metropolitana…del resto è proprio vero, la vita è fatta di attimi; poi dipende dai punti di vista.

Ad esempio sotto i miei piedi passavano tutte le stagioni mentre andavo a suonare il mio campanello preferito eppure, anche quelle stagioni ormai che son passate, mi sembrano ora un lunghissimo, incredibile attimo. Il destino di un ricordo…Buone vacanze a tutti.